Buona sera a tutti,
siamo Mauro e Chiara. Abbiamo 34
anni e siamo sposati da 7 anni e mezzo.
Siamo innanzitutto 2 sposi che
hanno scelto di accogliersi, amarsi e onorarsi per sempre e questa ci sembra
ancora una cosa molto bella per la nostra vita.
La nostra è una storia di qualche
SI, a volte piccolo, a volte un po’ più consistente.
In fondo, a guardarla bene, tutta
la storia della salvezza è costellata di SI: di un anziano Abramo che lascia la
sua casa per dirigersi in una terra a lui sconosciuta, di una poco più che ragazzina
della Galilea a cui un angelo è apparso portando una lieta ma difficile
novella, di un uomo che ha accettato la morte di croce per un amore ben più
grande.
La storia si fa davvero con i SI.
E così vanno le cose con il Signore, gli si lascia anche solo uno spiraglio… e
Lui apre finestre!
Il primo spiraglio l’abbiamo
lasciato aperto presto e, dopo poco dal nostro ritorno dal viaggio di nozze in
India, è nato Giosuè che ora ha sei anni. La gioia e la sensazione che qualcosa
di bello stava nascendo per la nostra famiglia era forte in noi. Quindi abbiamo
iniziato a fare progetti sul nostro futuro… un buon lavoro, una posizione, un certo
benessere.
Ma il Signore forse poco se ne
faceva di questi nostri progetti e così, prendendoci in parola quando gli
chiedevamo costantemente che la Sua volontà fosse fatta, non ha tardato a
donarci un’altra vita. Presto un altro bambino era alle porte della nostra
famiglia. 19 mesi dopo Giosuè nasceva Pietro.
A questo punto è iniziato ad
apparirci abbastanza chiaro che questa famiglia che andava formandosi era un
po’ fuori dagli schemi. Ma in fondo ci pareva che in questa storia ci fosse
Vita, quella bella, quella piena, che questo progetto, molto più grande e
strampalato di quelli che avevamo fatto noi, in fondo ci piaceva pure di più.
Nella nostra storia di coppia ci
siamo ripromessi alcune cose. Una di queste è che non vogliamo chiuderci in noi
stessi ed essere prigionieri delle nostre certezze e sicurezze, ma essere
sempre aperti… agli altri, agli incontri, alla Vita. Un’altra cosa che ci siamo
sempre detti è che, nelle strade da percorrere, una misura buona delle scelte è
quella di affidarsi e fidarsi della nostra chiesa.
È stata quindi la fiducia nella
chiesa di Padova a farci avvicinare all’idea di poter donare qualche anno della
nostra vita a servizio di una chiesa sorella del sud del mondo. È l’aver
scoperto che Gesù è stato il primo missionario, e che lui stesso ha detto ai
suoi discepoli e quindi alla sua chiesa di esserlo altrettanto. A ciascuno di
noi chiede quindi di non stare mai fermi ma essere sempre in cammino verso il prossimo,
scansando gli egoismi, l’egocentrismo, il pensare che il mondo giri tutto
intorno a se stessi. Perché è in questa costante ricerca e apertura all’altro,
soprattutto ai più poveri, che avviene
il misterioso incontro con Gesù. Ed ecco che quindi il cerchio si chiude.
In questo papa Francesco è molto
esplicito nella sua esortazione apostolica Evangelii
gaudium: “quando la vita interiore si
chiude nei propri interessi non vi è più spazio per gli altri, non entrano più
i poveri, non si ascolta più la voce di Dio … non palpita l’entusiasmo di fare
il bene”.
Ci è sembrata una cosa bella quindi
per la nostra vita partire per 3 anni in terra d’Africa, inviati dalla diocesi
di Padova ed è stata una scoperta bellissima vivere concretamente le parole
ancora di papa Francesco: “chi rischia, il Signore non lo delude e
quando qualcuno fa un piccolo passo verso Gesù, scopre che lui già aspettava il
suo arrivo a braccia aperte”.
Ancora una volta però un SI ad
una chiamata, ne nascondeva un altro forse ancora più grande. Dopo poche
settimane dal nostro arrivo in Kenya abbiamo scoperto che un’altra vita bussava
alla nostra porta. Come sempre i nostri progetti erano stravolti. Ancora una
volta abbiamo dovuto accettare e scoprire che ciò che Dio aveva pensato per noi
era una benedizione ben più grande delle povere certezze che pensavamo di
avere.
Dopo poco quindi, a Nairobi, è
nata Teresa, la perla preziosa della nostra esperienza missionaria.
Ancora una volta ci era chiesto
di aprire la porta al futuro, perché per “generare futuro”, come dice il tema
di questa sera, bisogna intanto fargli spazio. Lo spazio dove il futuro possa
far germogliare le proprie radici, dove Dio possa scrivere secondo le sue
misure…
Gli anni in Kenya sono stati una
benedizione. Come coppia, perché il tempo, le fatiche e le gioie condivise ci
hanno unito in maniera profonda. Come genitori, perché le sfide educative ci
hanno aiutato a maturare di fronte ad ogni scelta. Come persone, perché siamo
stati alla scuola dei poveri: i maestri della solidarietà, della sobrietà,
dell’aiuto reciproco, dell’affidamento a Dio.
La storia poi è molto recente.
L’Ottobre scorso siamo rientrati, dopo 3 anni di missione, e già una nuova vita
era alle porte. Un altro SI detto senza accorgersi, un’altra chiamata che
chissà dove ci porterà, un altro pezzo di futuro che tra pochi giorni, forse
ore, metterà piede su questa terra.
Ormai non abbiamo più paura… ci ha preparati bene il
Signore. Sappiamo, siamo certi, che c’è una felicità più grande che ci aspetta.
È una promessa che ci è stata fatta, e Colui che ce l’ha fatta non ci ha mai
deluso. Attenzione, non è una promessa di una vita facile, per noi non lo è mai
stata. È una promessa di una vita piena, di un centuplo qui e ora, a patto di
giocarsi tutto: Chiunque avrà lasciato
case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per il mio
nome, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna – si legge in Mt 19, 27-30 -.
Non può farci quindi troppa paura
nemmeno un lavoro precario, la crisi economica, il pessimismo dilagante che ci
circonda, la fatica quotidiana insomma… l’incognita del futuro. Il futuro è
quello che lasciamo germogliare oggi, che generiamo nelle scelte concrete di
ogni giorno, è la speranza che sentiamo oggi nel nostro cuore.